MY FAIR LADY

di Friederick Loewe e Alan J. Lerner
da Pigmalione di George B. Shaw

 

con Vittoria Belvedere e Luca Ward

e con Enrico Baroni e Giulio Farnese

scene di Aldo De Lorenzo

luci di Umile Vainieri

suono di Luca Finotti

coreografie di Roberto Croce

direzione musicale di Emanuele Friello

adattamento e regia di Massimo Romeo Piparo

produzione Peep Arrow e Teatro Sistina

 

My Fair Lady è uno dei più amati classici della storia del musical: dopo il debutto trionfale del 1956 al Mark Hellinger Theatre di New York e l’esito storico di più di 2500 repliche a Londra, fu trattato in versione cinematografica da George Cukor con protagonista Audrey Hepburn. È la favola della povera e rozza fioraia trasformata in principessa da un ostinato e burbero professore di fonetica… “Cosa c’è di più sublime che colmare il dislivello che separa classe da classe, anima da anima...” così recita il prof. Higgins, il “pigmalione” che affida al modo di parlare il passepartout per il riscatto sociale di una rozza fioraia. Già, il modo di parlare, la perdita delle proprie radici culturali, l’omologazione e la globalizzazione della società contemporanea hanno fatto svanire il rapporto tra l’essere umano e la propria cultura. La fair lady Eliza Doolittle, un po’ Cenerentola, un po’ Pretty Woman, un po’ Mary Poppins, è l’archetipo del riscatto, della rivincita, dell’affermazione: il desiderio e il sogno di tutto l’universo femminile che bussa con forza alle porte di una società ancora sorda. Ma alla fine anche la chiave maschile della vicenda cede alle emozioni e ai sentimenti e anche un apparente “misogino e scapolo convinto” come il Prof. Higgins dovrà…

 

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